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HVOB

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Al loro terzo album, Paul Wallner e Anna Muller, conosciuti nella loro unione artistica come HVOB, si affidano ad una collaborazione d’eccellenza per dare alla luce un album delicato e intimamente tragico.

Sembra ieri che HVOB (acronimo di Her Voice Over Boys) ci avevano regalato Trialog, un album che li ha portati sulla scena mondiale dal Womb di Tokyo al Burning Man Festival facendo il tutto esaurito. Da questo punto in avanti per il duo viennese non c’è altra strada che puntare al surclassare sé stessi.

Silk parte da questa volontà intrinseca di regalare un prodotto di qualità ancora superiore, e la collaborazione con Winston Marshall, chitarrista dei Mumford & Sons e creativo extraordinaire permette a Wallner e Muller di spaziare verso un terreno più intimo e concettuale che si allontana (ma quanto veramente?) dal pubblico della scena Live per concentrarsi sul far vibrare le corde dell’anima.

Silk si apre su The Blame Game, primo singolo dell’album. Già si può sentire il cambio profondo di registro rispetto a Trialog, il synth accompagna e spinge il gentile arpeggio di chitarra. È la voce di Marshall ad aprire l’album alla quale l’iconica voce di Muller risponde con il suo consueto timbro che abbatte qualsiasi resistenza. Si introduce infine il Synth di Wallner, assoluto e dominatore in moti circolari sconvolgenti che generano il phatos che è il biglietto da visita degli HVOB, sul finale Wallner concede spazio ai due performer vocali in un concept di amore arrivato al capolinea. Una struggente Overture che pone i paletti su quello che è il terzo album all’insegna del sentimento (e della mancanza di esso).

Glimmer, lavora invece su uno schema più classico, lontano dal panorama dell’elettronica, ricalcando l’inizio di The Blame Game per compiere qualche variazione in un setting più albeggiante, in un crescendo che, invece di portare ad un attacco di contrasto come quello di The Blame Game, di cui l’ascoltatore sta ancora subendo gli echi, apre sulla performance canora e musicale di Marshall del pezzo seguente: Torrid Soul.

Torrid Soul si affida totalmente nelle mani di Winston Marshall. Su un tripudio di arpeggi di una delicatezza onirica subentra la voce e la chitarra del talento londinese, che costruisce una suggestione su cui il lavoro in Synth è marginale e di contrappunto. La voce di Muller rappresenta l’altra parte del brano. I due artisti si alternano in un malinconico duetto dominando una traccia. La parte strumentale è una terza voce che crea lo scenario in cui le due anime vocali si muovono e collidono fra loro, in una struttura già perfezionata in The Blame Game ma non per questo meno memorabile.

Disguise porta l’ascoltatore in territori più oscuri e drammatici. Un beat soffocato apre la strada per la voce di Anna Muller, che rimane sola, accompagnata timidamente da note di piano, misurate e gentili. La malinconia la fa da padrone quando il vocal maschile accompagna la voce della cantante austriaca in un coro struggente valorizzato dalla drammaticità dell’arpeggio in synth. Mai la voce di Anna Muller è stata così trascinante e travolgente.

Astra è un intermezzo dal beat chirurgico e pulito, e sembra risorgere cercando in tutti i modi di liberarsi dalla drammaticità di Disguise in un sollievo che non ha felicità ne assenza di dolore ma solo piacevole rassegnazione.

Sullo stesso timbro di Astra di inserisce Deus, penultima traccia di questa collaborazione sconvolgente nella sua intensità emozionale. Deus affida al mantra recitato a più tonalità sovrapposte di Anna Muller, su sonorità minimal profondamente concettuali ed evocative che introducono il primo vero beat aggressivo dell’album. Ritorna quindi il duo HVOB con un singolo concepito con lo sguardo puntato al dance floor, senza allontanarsi eccessivamente dall’intreccio concettuale di Silk, in cui risalta l’apparato emozionale e il contrasto fra le armonie vocali di Muller e Marshall sullo scenario modellato dal Synth di Wallner.

Hands Away chiude l’album nella stessa tragica malinconia che ha impregnato tutto l’album. Anna Muller affida tutta sé stessa nel portare la traccia verso l’attacco in un beat che questa volta accompagna Marshall fino ad un crescendo interrotto dal vocal femminile, che tronca bruscamente il dialogo. Le strade si dividono e le note di chitarra, synth e piano, in un crescendo di una delicatezza infinita portano ad un apice estatico che lascia lo spazio per una conclusione riflessiva in cui possiamo gustarci un meraviglioso alternarsi delle due stelle di Silk.

Silk tiene non solo fede al suo nome, portando sonorità pulite, setose, sensuali e raffinate, ma è un bellissimo esempio di collaborazione creativa in cui il risultato è ben superiore alla somma delle sue parti. L’album potrebbe tradire le aspettative sia dei fan dei HVOB, sia del chitarrista newyorkese. Silk è una creatura nata dalle due realtà musicali e porta al suo interno i geni di tutti e tre gli artisti coinvolti in misura uguale generando un lavoro unico ed originale, fuori linea rispetto alle produzioni precedenti. Silk è tanto drammatico, malinconico, struggente quanto è trascinante, piacevole e intenso e, nonostante tenga un occhio di riguardo verso chi si aspettava pezzi adatti alla scena Live, è la collaborazione creativa che viene valorizzata per un album necessariamente impegnativo che non permette di essere ascoltato con leggerezza. Quando le ultime note suonano, l’ascoltatore sarà impregnato di quell’influenza malinconica che fa parte di storie d’amore oniriche e tormentate.

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