Voce duttile che non nasconde la passione e l’influenza dei grandi maestri del passato – Sarah Vaughan (il suo idolo dichiarato) e Betty Carter, messa al servizio di adattamenti dei classici anni ’70 – I’m Going Down dei Rose Royce (nei ’90 anche Mary J. Blige ne ricavò una hit di proporzioni gigantesche), e soprattutto una vivida rilettura di People Make the World Go Round, successo degli Stylistic uscito dalla penna di Thom Bell e Linda Creed. «La prima volta che l’ho ascoltata – ha raccontato Jazzmeia in un’intervista – ero in macchina con mia nonna che dopo le prime note si mise a piangere. Ero piccola e non compresi subito il significato di quel pezzo. Parlava di gente che ha difficoltà a sbarcare il lunario, mia nonna per vivere doveva fare da baby-sitter a due altri bambini e non si perdonava il fatto di non poter seguire i figli e i nipoti come avrebbe voluto».Jazzmeia non fa proclami politici, non ama esporsi completamente come altri colleghi, ma è consapevole dei drammi sociali e politici che si consumano intorno a lei e nel mondo: «Non vedo perché chi fa musica non possa esprimere una propria opinione su quanto succede nel pianeta. Io non giudico nessuno, ma è certo che mi sento ferita come black american. Osservo e prendo ispirazione da quanto vedo: episodi di razzismo, xenofobia, povertà, le paure e l’incapacità fra culture e religioni diverse di relazionarsi». I due minuti e venticinque secondi del brano che intitola il disco Social Call, firmato a quattro mani da Gigi Gryce e Jon Hendricks, sono quasi una folgorazione: «Mi capita di camminare per le strade di Harlem invase da gente che protesta contro gli episodi di violenza e di xenofobia. Poi mi siedo sul divano dopo cena e mentre guardo la televisione vedo gente manifestare in Siria, Sud Africa e a Parigi. Viviamo in un mondo difficile, e forse la musica può servire come una sicura ancora di salvezza».