Le melodie sono quindi morbide, quasi estatiche, come appena pescate da un acquario intorbidato di valium, anche se pur sempre attraversate da una vibrazione combattiva, da un amaro che puoi masticare per una vita ma non svanisce, mentre il cuore sanguina nella campana di vetro – anche se foderato di valzer setoso, vedi una Carelessly che non spiacerebbe a Randy Newman – e la voce si spezza sotto il peso di ciò che si è appena strappata dal petto (la stupenda What Does It Matter Now?, desolata e struggente come un Will Oldham ipnotizzato da Bill Fay). Le sonorità sono frottage agresti e desertici su carta ruvida urbana, elettricità che lavora ai fianchi e mira al fegato con cupa discrezione, panneggi d’archi che si gonfiano come vele piene di fantasmi, puntellate da piano, tastiere e fisarmonica (vedi la rilettura di Please Daddy, Don’t Get Drunk This Christmas) al bisogno. Le canzoni si aggirano pur sempre insomma sulla mappa della cara vecchia Americana, ma con la bussola congelata in un tempo interiore, trascinando la catena di uno spaesamento senza possibilità di remissione.Vedi il rapimento sospeso di The Days Of My Youth, una Ignore The Days che pianta una tenda cameristica sul terreno di un country stranito (la voce che srotola solennità sul punto di collassare, come un Bill Callahan allo stremo), oppure vedi l’impeto trattenuto della quasi laneganiana Find Your Way Out, o ancora la ballatina da front porch in bilico sul buio dell’anima di Walking On Eggshells (dove il Nostro sembra un nipotino fragile ed esausto di Johnny Cash), o infine prendi People, quel suo procedere disarmante e carezzevole mentre racconta cose terribili.